I dati epidemiologici riportati in letteratura indicano un tasso di incidenza pari a 1,5 nuovi casi l’anno ogni 100.000 abitanti e una prevalenza della mielofibrosi primaria pari a 1-9 casi ogni 100.000 abitanti.
La malattia è più frequente tra i maschi e la maggior parte dei pazienti registra in media 65 anni alla diagnosi. Tuttavia, nel 22% dei casi la mielofibrosi può interessare anche le persone di età inferiore a 56 anni. Non si tratta di una malattia ereditaria.
La diagnosi: un esame solo non basta:
Un quarto dei pazienti colpiti da mielofibrosi non accusa alcun particolare sintomo al momento della diagnosi e si rivolge al medico per generici disturbi addominali oppure perché un normale esame del sangue ha mostrato la presenza di valori alterati.
La diagnosi di mielofibrosi è piuttosto complessa e talvolta non immediata, perché i disturbi possono variare da paziente a paziente e non possono quindi essere identificati con un unico esame. Le principali indagini diagnostiche sono:
- la biopsia ossea, che permette di verificare le condizioni del midollo osseo
- le analisi del sangue, che consentono di verificare i livelli di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine e di riconoscere i tipici globuli rossi deformati “a lacrima” e la presenza di cellule immature. Nel sangue, inoltre, possono essere aumentati i livelli dell’enzima lattato deidrogenasi (LDH)
- complesse analisi genetiche, che permettono di verificare la presenza di anomalie dei cromosomi (analisi citogenetiche) e mutazioni geniche (analisi molecolari).
Sintomi che condizionano fortemente la vita del paziente:
Normalmente la malattia si manifesta con una serie di sintomi generali che interessano tutto l’organismo e altri dovuti al coinvolgimento di alcuni organi, come la milza, oppure provocati dalle alterazioni dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine.
Ingrossamento della milza (splenomegalia): è la manifestazione più caratteristica della mielofibrosi ed è presente in oltre l’80% dei pazienti. La milza ingrossata preme sullo stomaco e sull’intestino provocando sintomi come difficoltà digestive, sensazioni di pesantezza, fastidio a livello dell’addome, sazietà precoce e alterazioni dell’alvo. In alcuni casi la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome fino a comprimere i polmoni (provocando tosse secca) e il rene (determinando difficoltà a urinare).
Disturbi generali:
Si tratta di sintomi estremamente debilitanti che possono impedire al paziente di svolgere le normali attività quotidiane e lavorative e di avere una normale vita sociale e di relazione. Il più comune è la fatigue o astenia, che comporta stanchezza, debolezza e dolori muscolari. Ad essa si aggiungono febbre, sudorazioni notturne, prurito diffuso in tutto il corpo (che peggiora con il contatto con l’acqua, anche noto come prurito acquagenico) e perdita di peso dovuta all’inappetenza e alle difficoltà digestive.
Disturbi da alterazioni del sangue:
A causa di una diminuzione dei globuli rossi, oltre la metà dei pazienti è anemica. In alcuni soggetti anche i globuli bianchi possono aumentare o ridursi notevolmente, rendendo il paziente più sensibile alle infezioni. Anche i livelli di piastrine possono subire degli squilibri, predisponendo il paziente a emorragie (poche piastrine) e trombosi (troppe piastrine).
Complicanze: il decorso della malattia porta allo sviluppo di complicanze anche mortali. La trombosi è la complicanza più rischiosa, ma i pazienti affetti da mielofibrosi possono andare incontro anche a infarti splenici (ossia della milza, per il blocco dei vasi che portano il sangue all’organo) o calcoli renali (per un eccesso di acido urico nel sangue).