La schizofrenia è una malattia cronica grave che colpisce circa 250 mila persone in Italia, ma che registra circa 3,5 milioni di casi nella sola Europa e 24 milioni di casi in tutto il mondo, con una riduzione dell’aspettativa di vita che va dai 10 ai 22 anni e mezzo in meno rispetto alla popolazione generale.
Uno scenario poco confortante che al 19° Congresso della Società italiana di psicopatologia (Sopsi) ha visto discutere i più autorevoli esperti in psichiatria sulla necessità di nuovi standard di cura, sulla relazione tra opzioni terapeutiche e benessere e sul concetto di benessere come meta terapeutica.
«La schizofrenia è tra le prime dieci patologie a più alto impatto di disabilità sociale» dichiara Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Salute mentale e neuroscienze dell’AO Fatebenefratelli di Milano. Una patologia che insorge frequentemente durante l’adolescenza, tra i 16 e 18 anni, caratterizzata da vulnerabilità genetica ai fattori ambientali come l’abuso di stupefacenti e alcol, disagio sociale, immigrazione. «Nelle aree urbane la prevalenza dei disturbi psicotici è aumentata, - spiega l’esperto milanese - tanto che nascere e vivere fino a 13 anni in ambienti metropolitani aumenta il rischio di schizofrenia. Inoltre, passa ancora troppo tempo tra la comparsa dei sintomi e la possibilità di ricevere cure con il rischio di arrivare troppo tardi. Fondamentali sono quindi il riconoscimento precoce e il trattamento pedagogico-psicoterapico-farmacologico in modo da monitorare l’evoluzione sia della persona sia malattia, perché solo agendo subito si minimizzano le conseguenze».