L’alterazione del microbiota intestinale (disbiosi), indotta da una o più possibili cause tra cui l’abuso di antibiotici soprattutto in età pediatrica o una dieta eccessivamente ricca di grassi e proteine, potrebbe rappresentare una concausa per l’obesità . Ad osservarlo per la prima volta nel 2006 è stato uno studio americano che ha dimostrato come sia nell’animale sia nell’uomo l’obesità si associ a una variazione della popolazione batterica intestinale, che il microbiota alterato comporti un’aumentata estrazione di calorie da alimenti inerti come le fibre e che il suo trapianto in un animale magro lo rende grasso.
Oggi, a distanza di alcuni anni, appare chiaro come l’obesità sia una patologia multifattoriale caratterizzata da infiammazione di basso grado e aumentata resistenza all’insulina, dove il ruolo della disbiosi è importante e si esplica attraverso vari meccanismi. Per esempio l’assorbimento dei polisaccaridi complessi contenuti nelle fibre vegetali, poi trasformati in acidi grassi a catena corta e convogliati al fegato per costituire nuovo grasso, e in trigliceridi da depositare nel tessuto adiposo e nel fegato stesso; oppure la soppressione, da parte del microbiota, di un enzima che idrolizza i trigliceridi favorendone l’accumulo nella cellula adiposa; o ancora l’assorbimento di un fattore tossico contenuto nella parete dei batteri Gram negativi a causa di un’aumentata permeabilità intestinale, che a sua volte si traduce in un’aumentata produzione di sostanze proinfiammatorie con aumento della cosiddetta infiammazione metabolica e dell’insulino-resistenza.
Interessanti sono, a questo proposito, le sperimentazioni cliniche - già effettuate nell’animale e avviate anche nell’uomo - sulla possibilità di trattare l’obesità e la steatosi epatica mediante la somministrazione di prebiotici.